GRANO SALIS ET GRANA FRUMENTI
“Buon Senso e Chicchi di Grano”
Mio caro Tàcere, da poco sei un iniziato eppure ti rivolgi a
me con presunzione, affermando di conoscere,
quando in verità solo sai, e ben poco
davvero.
Certo la strada da te praticata è quella corretta e di
sicuro i testi antichi non sono a te distanti; tuttavia, avrei forse dovuto
imprimere maggior decisione alla mia voce, quando ti rivelai la differenza tra
il sapere ed il conoscere.
Forse, dicevo, sono io la causa della tua attuale ignoranza; e di ciò me ne dispiaccio, chiedendoti perdono e promettendoti saggezza nelle mie prossime parole, se avrai la pazienza di ascoltare e di rendere tuo ogni nesso che andrò ad esporti.
Sapere e conoscere posseggono la medesima
origine, pur tuttavia differiscono di grado e, mentre l’una appartiene al
pensiero, l’altra appartiene alla verità. Ciò che sai può essere dimenticato, interpretato o modificato, ma ciò che conosci rimane per sempre così com'è,
inalterato come memoria indelebile, mutabile nella sua immagine ma costante
nella sua sostanza. È l’immobile che sostiene la mobilità di ciò che si muove,
dandone concetto.
Il sapere imprime
il suo moto nelle voci del pensiero, e in esse si rimescola, si inebria e a
volte si confonde. Per questo il sapere
è ritenuto dai filosofi il veleno più pericoloso, in quanto rende gli uomini
mortali grazie alla falsa e profonda convinzione d’essere ancor più vivi. Al
contrario, la conoscenza ha in sé
tutte le direzioni ma non si lascia ingabbiare da alcun flutto, resta sempre la
stessa nel suo misurato e costante mutare. La conoscenza è per questo medicina, perché dà all'uomo che la
possiede, e che solo per grazia divina l’ha potuta ottenere, la più candida,
sincera e profonda certezza d’esser già morto, sebbene perlomeno liberato
dall'illusoria e anestetica convinzione di non esserlo affatto.
Il sapere è una
forma alettante, in quanto consiste di logica; di essa infatti ne è il frutto e
può esserne sia la causa quanto l’effetto. Tuttavia, manca di qualcosa di
importante, di fondamentale e di necessario per poter divenire conoscenza.
A questo punto, mio caro Tàcere, voglio proprio mostrarti e
darti un’idea di quanto sono distanti l’uno dall'altra. Il sapere è il primo passo del pensiero verso il Cielo. Purtroppo,
però, è un passo falso che potrebbe provocare la più rovinosa delle cadute,
dovuta allo stato di bilico che comporta se fine a sé stesso. Difatti, è
doveroso oltrepassare il sapere e
raggiungere il capire, traguardo
capace di dominare il pensiero grazie alle facoltà dell’intendere non solo con
la ragione ma anche con l’intelletto. Il sapere
è volubile e irrimediabilmente condizionato dal collettivo, profondamente
democratico nella sua affermazione di maggioranza. Se il pensiero comune
ritiene qualcosa in un certo modo, allora la maggioranza vince sulla minoranza
e, pertanto, quel pensiero collettivo comune viene considerato verità, senza alcuna
discussione in merito. Capire
significa mettere in gioco tale presunta verità, ostacolando, per certi versi,
il pensiero e il suo operato, e mettendo in causa le migliori domande
indagatrici che possano esplorare i motivi precursori della stessa presunta
verità. Molti filosofi confusi, a
questo proposito, adottano un sistema strategico a loro dire semplice ed
efficace, ma in vero lo definirei solamente facile, dove il facile implica per forza di cose una
situazione difficile, in quanto diverso e non certo analogo al più consistente semplice. Tale strategia, dicevo,
consiste nel ritenere il pensiero sempre fasullo, e prendendo per buono
l’opposto di quanto viene da lui espresso.
Pura follia! Pura ignoranza! Che Dio possa illuminare il
loro buio cammino!
Questi, infatti, nel concepire una sì fatta strategia
dimenticano erroneamente il profondo insegnamento filosofico della falsità: il falso può essere tale
solamente se riferito al vero, pertanto non vi è falsità che non porti in
grembo il vero, più o meno nascosto che sia. Il pensiero è logico e acuto,
niente affatto stupido, quindi essendo figlio e prodotto della perfezione, solo
successivamente corrotta, è chiaro che mai potrebbe essere così stupido da
affermare sempre il falso, altrimenti, come appena detto, non lo sarebbe
affatto; il pensiero, infatti, è ingannatore, ma è il migliore degli
ingannatori, dichiarando il falso ma a volte dicendo anche il vero.
Capire significa
quantomeno indagare, indugiare sulle affermazioni logiche del pensiero e
tradire le sue eventuali false convinzioni. Ciò perché quelle convinzioni non
se le tiene per sé, bensì sono un dono fatto apposta per l’uomo, un dono su
misura apparentemente perfetto, logico e razionale, che provoca in realtà la
mortalità e le rovinose cadute verso l’abisso infernale della materia. Capire, quindi, è astenersi dalla
speranza ed avventurarsi nei meandri paludosi delle motivazioni e delle cause
scatenanti. Or dunque, detto ciò, è evidente il suo aspetto di messa in
pratica, giacché riverso tra i rovi degli agenti che provocano i reagenti,
escludendo quella casualità disordinata detta per l’appunto speranza, la quale
vigila i ponti e convoglia i mezzi all'imboccatura della logica, suo unico
scopo effettivo a favor della materia.
Ma la distanza tra sapere
e conoscere non è tutta qui, esiste
un altro gradino che si dice comprendere
e altri non è che l’unione tra il sapere
ed il capire, ricavata dalla loro più
intima mescolanza dovuta alla lavorazione e all'operazione dell’uomo, in virtù
della natura e nel rispetto delle leggi naturali. Se capire è solo intendere, comprendere
è intendere prima; ecco, dunque, perché i filosofi più saggi e i maestri più
elevati dicono a ragione che il comprendere
lo è quando si raggiunge l’esperienza dell’errore, in quanto rende l’uomo
pienamente capace di evitare tale errore, risolverlo prima che accada oppure,
ove necessario, rimediarlo una volta accaduto. Ed è solo nella comprensione, mio caro Tàcere, che
potrai ottenere la facoltà di rettificare, come avrai già sicuramente inteso
dalle parole che hai appena ascoltato.
Comprendere,
allora, è un’opera di mescolanza e di unione; è l’impastatura vera e propria,
nella quale si sposano la teoria e la pratica, scambiandosi vicendevolmente
caratteristiche e aspetti non senza dura lotta. Il pensiero, aggredito con
forza, non cederà facilmente all'uomo, e l’uomo dovrà faticare molto
nell'inseguirlo, nel trattenerlo, nel subirlo e infine nell'accettarlo una
volta rimescolatisi reciprocamente nella calma, la quale da sola vigila e interrompe
la battaglia non appena opportuno.
Terminata l’impastatura, ciò che si ottiene non mostrerà più
i segni della separazione e ogni cosa troverà la sua immagine nel suo più vero
ed intimo significato, a monte della natura stessa e delle sue leggi.
Questo è comprendere.
Sono certo che proprio ora stai ricordando gli antichi
testi, a te così vicini, trovando e aggiustando le ottiche con le quali avevi
letto le loro righe riguardanti la comprensione di Dio e la necessaria
comprensione dell’uomo verso il suo prossimo. Non vi sarà in te alcun dubbio,
infatti, sul fatto che l’uomo può comprendere il suo prossimo solo dopo
l’avvenuta mescolanza col proprio pensiero, al termine della reciproca lotta e
nell'ovvia unità del suo sapere col
proprio capire; e, chiaramente, ciò è
di massima importanza, in quanto solo l’uomo che davvero è capace di
comprendere il suo prossimo ne è anche materia
prima, con la quale manifestare, successivamente, la comprensione del
Padre. È qui, a monte della natura e delle sue leggi, nonché al di sopra delle
sfere del tempo, che può avvenire la rettifica, lavorando incessantemente e con
costanza sulle misure della materia prima.
Porta pazienza ancora per un poco, mio caro Tàcere, e
continua a seguirmi proprio come stai facendo e, mi raccomando, con la medesima
attenzione, perché il prossimo passo è di certo il più importante ma anche il
più oscuro di tutti, nonostante la sua intensa e ineguagliabile luminosità.
Conoscere,
infatti, è dei nostri luoghi l’ultimo gradino, successivo al suddetto comprendere; eppure, come te ne sarai
sicuramente accorto, non vi è rimasto più nulla col quale mescolare la nostra materia prima. E in verità è proprio qui
che si cela l’arcano maggiore, cioè la chiave seconda e divina del massimo
segreto. Mantenendo la comprensione
con sincero ardore, si ottiene la moltiplicazione, cioè si manifesta il
principio divino dell’espansione, reso concreto dalla fermentazione e
lievitazione della materia stessa. Non v’è grazia migliore che Dio possa
offrire all'uomo! La sua benedizione, perché è proprio di questo che si tratta,
avviene infatti in virtù di un elemento non visibile, non tangibile, non
generabile se non da Dio stesso: lo Spirito
Santo.
È così chiamato perché battezza la materia sulla quale si
posa, la purifica, la monda, la moltiplica e la glorifica; la congela e la
fissa nelle sue proprietà e nel suo più proprio regime, portando inoltre l’uomo
al più intimo contatto col Padre, ma solo per sua volontà e divina magnanimità.
Non v’è modo, mio caro Tàcere, di ottenere lo Spirito Santo nel mondo sensibile materiale, se non per volere del
Padre, e ciò perché non ha alcuna misura, non ha alcuna dimensione, non ha
alcun peso, è formato di due sostanze pur non essendo sostanza, non possiede
immagine se non quella di Dio, è fuoco acquoso e acqua fiammeggiante allo
stesso tempo, non ha distinzione e non concede confini, non ha tempo e non ha
spazio, è il vuoto più pieno che possa riempire la materia, è il logos dove già
esistevano le cose prima che fossero state create ed è anche il luogo dove non
esistono quelle che ancora non esistono. È l’essenza di Dio, non in quanto
essenza, ma perché diversa da tutte le essenze; è quel vuoto di tutto e quello
spazio di niente dove l’Uno, il Tutto e il Nulla coesistono senza alcuna
definizione reciproca.
Lo Spirito Santo è
latte e sangue che santificano il corpo, e che, per volere di Dio e solo
per i giusti così giudicati da lui soltanto, si fa carne nella materia manifestando il Padre il cui nome è appunto il
Figlio, come già sappiamo e come già accaduto.
Se sei riuscito a mantenere l’attenzione fino in fondo e hai
seguito col tuo intendere quanto ti ho detto finora, allora avrai di certo
compreso cosa sia la conoscenza e
quanto sia distante dal solo sapere.
Non c’è altro ch’io possa dirti in merito, tutto è stato esposto al meglio di
quanto Dio stesso me l’abbia concesso, e nulla più, nulla meno dev'essere
aggiunto o tolto. Tuttavia, ti ho promesso saggezza e pertanto ti offrirò un
esempio a te di certo più vicino, ma solo perché prenderò in esame ciò che
avviene nella materia in qualità di specchio delle leggi del Cielo. Ciò perché
ti vedo piuttosto affaticato e non manco di notare quanto quest’ultimo gradino,
la conoscenza, sfugga
giustificatamente al tuo ostinato e presuntuoso pensare. Pertanto, per
semplicità, ti parlerò del grano e
del pane, di come l’uomo abbia
ricavato l’uno dall'altro e di cosa manchi al sapere, in sostanza, per divenire e considerarsi conoscenza.
Ritira i remi in barca e spiega le tue vele; lascia che il
denso pensiero si riposi e che sia il tuo intelletto ad accompagnarti, come
vento caldo e umido, tra le correnti di un mare finalmente calmo. Osserva e
contempla ogni cosa che ti dico senza nulla escludere, senza nulla temere e
senza nulla escogitare. Accogli in te la mentalità più consona alla natura e
alle sue leggi, nonché saziati nel vedere come ciò che avviene in Cielo, nelle
sue perfezioni, possa avvenire anche in terra nelle sue corruzioni. Questo è il
principio divino e massimo lasciato da Dio nel mondo sensibile, in qualità di
indizio, affinché i dotati di ragione lo possano riconoscere in ogni mutevole
azione della natura, tanto nel piccolo quanto nel grande.
L’uomo, per nutrirsi, collabora all'opera della natura,
ovviamente a propria insaputa e sospinto più dall'istinto che dalla consapevolezza
della sua origine divina. Non a caso, a questo proposito, egli manifestò il
pane, forgiandolo dal grano nelle sue più intime lavorazioni. Proprio così, mio
caro Tàcere, l’uomo esprime la propria indole divina nella materia sensibile,
trasformando i chicchi di grano in sottilissima polvere, mescolando
successivamente la farina così ottenuta con l’acqua e aggiungendo poi il
lievito al momento più opportuno e secondo la minima giusta misura. Come puoi
agevolmente notare, la farina e l’acqua provengono da una stessa origine e sono solo due espressioni
diverse della medesima sostanza, ma il lievito, in vero, porta in sé una vita di origine differente, quindi è un
agente che si può definire esterno senza rischiare in alcun modo di cadere nel
torto. Con ciò intendo dire che la farina è piena di sé stessa, allo stesso
modo dell’acqua, mentre il lievito è un impasto già composto, completo e pieno
di vita, che nel suo caotico ordine si moltiplica continuamente e permette la
medesima funzione anche al luogo nel quale si dispone. Grano e acqua si nutrono
e crescono di sé stessi e per sé stessi, il lievito, invece, cresce e moltiplica
anche l’ambiente dove viene immerso, donando pertanto la sua speciale proprietà
espansiva a tutto ciò che lo contiene.
Ma io, mio caro Tàcere, non sono un fornaio e non ho idea se
tu voglia o meno imparare l’arte della panificazione, quindi, dopo averti
ricordato come l’uomo abbia creato il pane secondo la sua indole divina, passo
a piè pari sulla differenza tra grano
e pane, che è in verità il motivo principale
della nostra argomentazione.
Il grano è la conoscenza con la quale si ottiene il pane; il pane, invece, è il sapere,
e ti sarà di certo ovvio che dal pane
non sia più possibile riottenere il grano.
Ciò perché il grano, così abilmente lavorato,
polverizzato, mescolato e cotto, secondo i canoni della sensibilità materiale,
si trasforma e si manifesta sotto un aspetto più appetitoso e invogliante,
proprio con l’intento di attirare la gola dell’uomo, il quale altrimenti non ne
mangerebbe affatto se non fosse pane anziché grano, sia per scelta che per chiara
incompatibilità fisica e materiale.
Pur tuttavia, il pane
possiede in sé il principio del grano,
seppur non sia più possibile percepirlo se non con l’intelletto, quando reso
sufficientemente fine e partecipe dell’abilità dell’esperienza. In tal senso,
l’opera filosofica, con la quale è possibile raggiungere la conoscenza, ricordandoti oltremodo che
solo Dio possiede il potere di donarla e per sua unica volontà, si prefigge
proprio lo scopo di conseguire e raggiungere codesta capacità, cioè quella di
ottenere il grano dal pane, seguendo a ritroso il percorso
dell’opera di manifestazione chiamata filosoficamente panificazione.
Tàcere, sai dirmi ora, se davvero hai seguito il mio
discorso come sembra apparire dal tuo sguardo, come si possa percepire il grano dal pane? Con l’intelletto, bada bene, solo con l’intelletto! Perché è
proprio grazie all’intelletto che potrai riconoscere il sapore del grano, il
quale, mio caro Tàcere, si cela argutamente alla radice di quello che pensi
essere il sapore del pane, ovviamente per come tu lo
percepisci con i sensi del gusto e in virtù del suo tragico e materialistico inganno.
Devi sapere che il pane divenne pane quando dimenticò il gusto del grano, mentre l’abitudine al sapore del pane fece tutto il resto. Così, quando mangiando del pane tu ricorderai improvvisamente il sapore del grano, allora e solo allora potrai dire davvero di averne conoscenza.
Dunque ho detto tutto, ma ancora ti vedo confuso, smarrito
nel dubbio che compete i due sapori.
Pertanto, mio caro Tàcere, cercherò di essere più concreto che mai, e ti
svelerò quale che siano l’uno e l’altro affinché tu possa capire. Il grano, da cui si ottiene il pane, porta con sé nel proprio grembo
due principi; un solo seme, quindi, contiene due sementi: un grano salis e un grana frumenti.
Il grana frumenti
è quel seme che concerne il mondo sensibile e in altre parole è quello che
concede all'uomo di mangiare materialmente il pane. È pertanto strettamente legato alla materia, da essa
sovrastato e in essa imprigionato, sebbene con una cura tale, da parte della
natura, da rendere pressoché perfetta la sua opera, come riflesso del cielo in
terra. È di indole maschile, riferendomi con ciò al suo aspetto materiale, pur
tuttavia il suo stato più intimo è femminile, anche se potrebbe sembrare
tutt'altro. Difficile crederci, ma sappiamo bene entrambi che l’arte creativa e
le leggi della natura sono femminili e così, quel seme, dovette indossare vesti
adeguate per poter operare negli ambiti della materia senza impedimenti. Il grano salis, al contrario, è di indole
femminile con apparenza maschile e salina, sebbene non sia proprio possibile
toccarla con mano, in quanto rimasta esclusa dai campi materiali nonché
esiliata all'interno di un grano che
non le concede alcuna libera attività. E se vuoi raggiungere la conoscenza, se davvero questa è la tua
intenzione, è proprio il grano salis
che devi liberare, ma bada bene che dovrai anche indurlo a restarti vicino, di
modo che non voli via, altrimenti la tua opera sarà del tutto vana. Ricercalo
nel Mercurio, perché è proprio quel Solfo che in esso si nasconde, come chicco
di un Sale rimasto spento.
Mio caro Tàcere, ora sono certo che hai compreso, perché ti è sicuramente noto, uomo di sapere quale sei,
il significato più prossimo dell’espressione grano salis, e cioè buon
senso. Ecco allora che ti vedo più saggio, in quanto sei giunto alla
conclusione che il sapere è grazie al
grana frumenti, da cui appunto, una
volta lavorato, si ottiene il pane,
mentre il conoscere è “salinizzare”,
se mi concedi codesto mio modo di parlare, poco corretto per la lingua ma
perfetto per il vero, il grano salis,
ricevendo da Dio, e per sua sola volontà, il più puro e santo buon senso, che
battezzerà la tua buona fede. Dunque, godi ora di quanto ti ho detto, rendi tue
queste mie parole, falle entrare dall'ingresso principale e concedi loro i
festeggiamenti natalizi che meritano, perché porteranno nella tua casa il grano salis, cioè quello che ancor ti
mancava: il buon senso, che poi si unirà alla tua buona fede nella camera
nuziale.
Ricordati, però, che il grana
frumenti produce del buon pane;
ma una volta mangiato un boccone, fosse anche solo per gola, diviene subito necessario
ed indispensabile mangiarne ancora, e per ogni giorno che segue, perché,
rendendo mortale chi ne mangia, ci rende schiavi del suo stesso essere
nutrimento. Tuttavia, Dio ci diede già a suo tempo la possibilità di salvezza,
di uscire da tale schiavitù, grazie alla natura divina con la quale ci forgiò e
che ci lasciò come dono prezioso. Ti prego, mio caro Tàcere, non perdere queste
ultime parole del discorso, resta attento e disponibile perché ciò che voglio
dirti è molto importante. Non metterti mai al servizio di chi ti vuole schiavo
e non cercare mai di rendere schiavo chi ti vuole servire. Non essere vittima
del tuo sapere e non cercare di conoscere per avere potere sugli altri.
Conserva quindi la tua buona fede in ogni momento del giorno e confida sempre
nel tuo buon senso, o perlomeno ricercalo affinché Dio decida di concedertelo.
Avrai la conoscenza quando fioccherà fuoco dal Cielo, percependo
così il sempiterno sapore del Padre.
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